FA.G.E. FAMILY GENORGAM OF EMOTIONS Nascita di uno strumento per lavorare con le emozioni in terapia sistemica

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FA.G.E. FAMILY GENORGAM OF EMOTIONS

Nascita di uno strumento per lavorare con le emozioni in terapia sistemica  

FA.G.E. FAMILY GENORGAM OF EMOTIONS

“Birth of a tool for working with emotions in systemic therapy

Nicoletta Citterio[1] e Valentina Iori[2]

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ABSTRACT

Capita spesso di trovarsi in impasse durante una terapia e accorgersi di non riuscire ad “andare oltre”, a rompere i pattern della seduta che sembrano ripetersi identici nel tempo o ad accorgersi di non riuscire ad affrontare alcune tematiche. Il terapeuta viene chiamato a cercare di fare un salto cognitivo per cercare di comprendere cosa sta accadendo a lui, al paziente, alla loro relazione , a quello che stanno co-generando in quel momento . E' proprio da un momento di empasse in una terapia in cui le autrici hanno dovuto fare appello alla loro curiosità e autoriflessività: non si riusciva a sentire e ad affrontare il tema emozioni con una coppia. Nasce così lo strumento FA.G.E., da loro inventato, utilizzato e da vari anni insegnato, come metodo per lavorare sulle emozioni in terapia. Questo contributo mostra come è stato pensato ed ideato, quali assunti teorici, epistemologici e mappe cliniche hanno guidato le autrici  nella sua definizione e  come poi è stato calato nella  pratica in base alle differenti  casistiche cliniche. Il lettore di questo articolo potrà seguire passo passo il dialogo fra le due terapeute che ha attivato la riflessione  fra loro e come infine sono giunte  a inventare questo strumento; verrà guidato nello scoprire come avviene concretamente la somministrazione, in quali tipologie di setting si può applicare  e quali feedback ha generato nei pazienti che lo hanno utilizzato.

ABSTRACT

It often happens that you find yourself in a deadlock during therapy and realize that you are unable to "go beyond", to break the patterns of the session that seem to repeat themselves identically over time or to realize that you are unable to address certain issues. The therapist is called upon to try to make a cognitive leap to try to understand what is happening to him, to the patient, to their relationship, to what they are co-generating in that moment. It is precisely from a moment of deadlock in a therapy in which the authors had to appeal to their curiosity and self-reflexivity: they were unable to feel and address the topic of emotions with a couple. Thus was born the FA.G.E. tool, invented by them, used and taught for several years, as a method for working on emotions in therapy. This contribution shows how it was thought and conceived, which theoretical, epistemological assumptions and clinical maps guided the authors in its definition and how it was then implemented in practice based on the different clinical cases. The reader of this article will be able to follow step by step the dialogue between the two therapists that triggered the reflection between them and how they finally came to invent this tool; he will be guided in discovering how the administration actually happens, in which types of settings it can be applied and what feedback it has generated in the patients who have used it.

 

PAROLE CHIAVE: Terapia Sistemica - Emozioni - Curiosità - Relazioni - Connessioni - Altravisione- Empasse

KEYWORDS: Systemic Therapy - Emotions - Curiosity - Relationships - Connections - Othervision - Impasse

 

"Periodicamente capita di dimenticare una certa parola per un tempo considerevole, tipo qualche settimana e di non riuscire a trovarla quando serve. In questi casi provi una frustrazione tipica, che non somiglia a nessun’altra, e vai alla ricerca di un sinonimo, che puntualmente ti lascia insoddisfatto . A me, di recente, “demotivato”. Non c’era verso di richiamarla. Allora la sostituivo con “ disincentivato” o “ disinteressato”, ma non era la stessa cosa. Volevo “demotivato”, ma non c’era. Poi un giorno, all ’improvviso quella parola ritorna: finalmente la ricordi , e sei convinto che da quel momento in avanti non la dimenticherai più". 

(De Silva,p.54,2011)

 

INTRODUZIONE

La coppia si presenta puntuale come sempre alla seduta, saluta educatamente, si muove ormai sicura nel Setting a lei  noto da varie sedute già effettuate e lascia a noi i “nostri soliti posti”.

Questa è la sensazione iniziale delle terapeute, che tende a ripetersi da alcune sedute “i nostri soliti posti”, da tempo le terapeute hanno ben chiaro il pattern che accadrà in seduta: dopo i saluti un breve racconto di come è stato trascorso il tempo dalla coppia tra una seduta e l’altra e si arriva ai compiti lasciati in conclusione della seduta precedente. Una coppia “obbediente “l'hanno definita una volta le terapeute: non hanno mai rispettato un compito dato , mettendo sempre una loro creatività e innovazione, una coppia che lavora molto tra una seduta e l’altra, una coppia che dovrebbe farle sentire molto contente e appagate del lavoro che stanno svolgendo con loro eppure quando si passa ad indagare le emozioni, a parlare di  emozioni la coppia si congela, cala sempre il silenzio. Le terapeute da alcune sedute sentono questo “essere comodo della coppia seduta sulla sua sedia”; certo è una coppia presente, attiva, pensa, ragiona, agisce ma sente? E come fare a sentire se sente emozioni? Ma oggi le terapeute sono determinate, vogliono scoprire  qual è il pattern fra i due membri della coppia e le terapeute stesse che genera questo blocco, dove tutto funziona, tutto si capisce, tutto evolve, ma nulla , sembra, si riesca a  sentire. Da questo incipit nasce una discussione dietro lo specchio fra le terapeute che le porterà per vie a loro nuove, utilizzando come mappe e bussole  vecchi saperi e i propri stili professionali fino a giungere a inventarsi il FA.G.E. riadattando l’idea del genogramma familiare (umano) all’idea di costruire un genogramma familiare delle emozioni. In questo contributo verranno mostrati attraverso l’utilizzo quali mappe cliniche e assunti teorici ed epistemologici stanno alla base della costruzione del FA.G.E. Seguirà poi una parte di descrizione dello strumento, della sua struttura, di come funziona, come si somministra  e si applica  concretamente. In conclusione  verrà presentato in quali setting si può utilizzare e verranno riportati alcuni feedback di pazienti a cui è stato somministrato. Per maggior semplicità e chiarezza esplicativa non verrà utilizzato il caso originario (citato nell’incipit) di terapia di coppia ma il tutto verrà mostrato su una terapia individuale.

 

DIALOGO IN UN MOMENTO DI EMPASSE IN TERAPIA 

Adelaide viene in terapia perché afferma di trascorrere una vita monotona, nulla va bene e nulla va male; non avrebbe nulla di cui lamentarsi, afferma, eppure sente di non essere soddisfatta, ma non sa bene né di cosa né perché. Siamo ormai giunti alla quarta seduta e il copione sembra ripetersi sempre uguale a sé stesso.

T: “Buongiorno”.

A: “Buongiorno dottoressa”

T: “Come va? Come sta oggi?”

A: “Ma guardi sempre la solita cosa…io non capisco…non so darmi una risposta, sono sempre giù, sempre abbacchiata, non ho voglia di fare niente , non lo so …Ho pensato a tutto quello che ci siamo dette, ad ascoltarmi un pò, a sentire un pò…ma non ci ho capito molto, non riesco a sentire, a capire cosa mi succede dentro …non lo so dottoressa. Nulla va male, va tutto bene …ma boh”.

Sono passati pochi istanti dall’inizio della seduta ed eccolo qui, fermo davanti a me: il pattern ricorrente . Il tempo di sedersi scambiare due frasi e io, lei e questa stanza abbiamo rigenerato il solito pattern . Siamo alle solite mi sento impotente con questa paziente, mi sento in gabbia le ho provate tutte anche a cambiare sedia io, cambiarla lei, a risignificare, a narrare nuove storie, a muoverci avanti e indietro fra passato e futuro e ritorno. Nulla! Il pattern ricorrente è sempre qui fra noi, ci deve essere di sicuro qualcosa che non riesco a vedere, che non riesco a cogliere. Decido di interrompere la seduta e andare dietro lo specchio a conversare e chiedere aiuto alla collega co-terapeuta, chissà che lei da quella posizione possa aver colto ciò che sfugge. 

Citterio: "Cosa senti? Come sei stata in seduta con lei?”

Iori: "I suoi non so e il non sapere dare un nome a quello che sente o prova, mi stanno generando sentimenti di noia, rabbia, frustrazione e di impotenza. E mi chiedo come faccio a generare un cambiamento ed aiutarla?, come posso fare ad accendere le sue emozioni e ad accedervi?come  fare ad aprire altre strade? quali strumenti posso usare per uscire da questa impasse sia mia che sua attivando la mia curiosità? Sento che con il solo verbale non ci riesco , non riesco a far cortocircuitare il solito pattern che ci ingabbia”

Citterio: "Dovremmo pensare ad uno strumento che possa essere utile nel rendere più visibili ad accessibili le emozioni della paziente, che possa portarla a riflettere sul suo mondo emotivo e vedere le connessioni delle sue emozioni. Che possa anche stimolare la tua curiosità, per farti uscire da quello che stai sentendo che al momento ti blocca. Ad esempio, potremmo pensare a qualcosa che abbia la struttura del genogramma familiare: permetterebbe di lavorare sulle connessioni, sui legami, sulle relazioni tra le emozioni. L'emozione non nasce dal nulla e attraverso la forma grafica del genogramma si potrebbe vedere da dove nasce, le sue relazioni e cosa può produrre. Attraverso poi le domande si potrebbe far emergere il sistema emotivo della paziente, scoprire pregiudizi e stereotipi".

Iori: "Mi piace, mi sembra abbia molto senso. Si potrebbe quindi partire, in questo caso, dall’emozione che la paziente porta sempre o che è significativa per lei in questo momento, e da lì partire con almeno tre generazioni. Potrebbe poi dare un nome all’emozione , scegliere  magari anche il genere e in che relazione questa emozione sta con le altre. Una volta costruito poi come procediamo? Come facciamo e generare delle domande per creare connessioni, dare un senso e valore a ogni emozione scritta e costruire con la paziente una nuova storia?”.

 

A CHI POSSIAMO CHIEDERE AIUTO?

Siamo andate così alla ricerca delle nostre voci interne per vedere se la nostra idea potesse avere oltre che un senso pratico anche un senso logico e fosse supportata da basi teoriche ed epistemologiche.

Primo passo: cambiare canale, passiamo dal discorso puramente verbale al far agire un qualcosa in seduta alla paziente per cortocircuitare il pattern che la terapeuta e la paziente fanno scattare fin dai primissimi istanti della seduta. Provare a passare ad altre modalità di conduzione della seduta per generare una nuova mente pensante. Bateson ci ricorda che siamo un tutt'uno: "la mente individuale e' immanente, ma non solo nel corpo essa è immanente, anche in canali e messaggi esterni al corpo; e vi è una più vasta mente di cui la mente individuale e' un sottosistema.". "E' il tentativo di separare l'intelletto dall'emozione che è mostruoso, e secondo me è altrettanto mostruoso e pericoloso tentare di separare la mente esterna da quella interna, o la mente dal corpo". E ancora: "si può dire che la mente e' immanente in quei circuiti cerebrali che sono interamente contenuti nel cervello; oppure che la mente e' immanente nei circuiti che sono interamente contenuti nel sistema cervello più corpo; oppure, infine, che la mente e' immanente nel più vasto sistema: uomo più ambiente" (G.Bateson, pp 365-366, 1972).

Nel nostro modo di intendere la clinica, la terapia non è solo linguaggio, dialogo ma anche corpo, azioni ed emozioni. 

Secondo passo: proporre una cosa apparentemente assurda, cioè chiedere ad una persona di lavorare su un’emozione scrivendola su un foglio di carta, per di più un’emozione che la persona non maneggia con facilità. Perché questa assurdità? Come è dimostrato dalle neuroscienze: "né gli animali né gli esseri umani recano preinstallata, in modo innato, la paura dell'orso. Quando nasciamo siamo predisposti a rispondere con una emozione, in modo preorganizzato, quando vengono percepite nel mondo esterno o nel nostro corpo certe caratteristiche di stimoli”. (A.R.Damasio, 1995, p.192). Una per una o in associazione, queste caratteristiche saranno elaborate e verrà innescato l'instaurarsi di uno stato corporeo tipico di una emozione e ciò modifica l'elaborazione cognitiva in maniera che si adatti allo stato emotivo che stiamo provando (A.R.Damasio, 1995, op. cit.). Quindi tutti siamo organizzati con emozioni al nostro interno che partono dal corpo, dal non verbale e solo dopo vengono associate ed elaborate cognitivamente. Innanzitutto le agiamo, come la nostra paziente : sente delle cose, non sa bene dare un nome, non sa se è il nome giusto, non sa da dove arrivano ma ci sono . Quindi partiamo da quell’emozione, sì proprio la più difficile per la persona, quella che ancora non ha parole e chiediamo di trasformarla in un “oggetto concreto al di fuori di sé” e di scriverla al centro di un foglio. La mettiamo lì con il nome che alla persona viene da dare in quel momento: infatti noi terapeute parliamo di emozioni ma i pazienti non sono esperti in libri di psicologia , possono chiamare emozione qualsiasi cosa . Abbiamo FA.G.E. che partono da emozioni come “mal di schiena”, “erotismo”, “futuro”, “mal di stomaco”, noi accettiamo tutto rifacendoci a ciò che ci insegnano le neuroscienze, che ci dicono anche che il passo successivo al reagire emotivamente sarebbe quello di sentire l'emozione in connessione con quello che l'ha suscitata ma, ci spiegano anche che  il sentire le reazioni emotive dipende dalla storia e dalle esperienze delle persone: se le emozioni partono da rappresentazioni che sono acquisite dall'esperienza e non fonte di un pacchetto innato, sono quindi uniche e possono essere più o meno diverse da quelle di altri ma appartengono al soggetto (A.R. Damasio, 1995, op. cit.). Quindi noi accettiamo sia emozioni non propriamente definite nei libri di psicologia come emozioni e questo non fa che accendere la nostra curiosità nel andare, nella fase d’intervista a chiedere, intervistare la persona su ogni singola emozione che ha scritto, farcela spiegare e cercare di capire insieme a lei i nessi attraverso cui la sua esperienza si è legata a quella cosa che ha sentito, che ha preso poi il nome di quell’emozione di cui stiamo parlando.

Le neuroscienze poi vanno oltre dicendo che la base neurale del se' sta in una continua riattivazione di almeno due insiemi di rappresentazioni. Il primo riguarda le rappresentazioni di elementi chiave dell'autobiografia di un individuo, sulla base dei quali si può ricostruire ripetutamente una nozione di identità, mediante la parziale attivazione in mappe sensitive topograficamente organizzati. L'insieme delle rappresentazioni disposizionali che descrivono una qualsiasi delle nostre autobiografie riguarda un gran numero di fatti categorizzati che definiscono la nostra persona: che cosa facciamo, chi è che cosa ci piace, quali tipi di oggetti usiamo, quali luoghi frequentiamo e quali azioni compiamo più spesso. E poi in aggiunta a tali categorizzazioni, vi sono gli eventi unici, del nostro passato, che vengono costantemente attivati come rappresentazioni proiettate su mappe: dove viviamo e lavoriamo, quale lavoro svolgiamo, qual e' il nostro nome e quello dei nostri amici e parenti più stretti , della nostra città , del paese... infine nella memoria disposizionale recente vi è una raccolta di eventi vicini nel tempo insieme con una loro approssimativa proiezione temporale,e anche una raccolta di progetti , un certo numero di eventi immaginari che intendiamo far accadere, o ci aspettiamo che accadano. L'incessante riattivazione di immagini aggiornate riguardanti la nostra identità (una combinazione di ricordi del passato e del futuro progettato ) costituisce una parte considerevole dello stato del se'. Il secondo insieme di rappresentazioni e' dato dalle rappresentazioni primitive del corpo di un individuo: non solo come il corpo e' stato in generale ma anche come e' stato ultimamente , appena prima del processo che ha portato alla percezione dell'oggetto x. Ciò abbraccia necessariamente stati di fondo del corpo e stati emotivi. (A.R.Damasio, 1995, op. cit.). E anche tutto ciò sarà oggetto di indagine durante la fase di intervista. 

Van der Kolk, infine ci può spiegare quel "non so” continuo della paziente che fa tanto sentire impotente e senza armi. Dalle emozioni emergono sentimenti di fondo che non risultano essere né troppo positivi né troppo negativi anche se possono essere percepiti come estremamente piacevoli o spiacevoli e possono essere i sentimenti di cui facciamo esperienza nella vita di un sentimento di fondo abbiamo solo una sottile consapevolezza e corrisponde allo stato corporeo che prevale tra un’emozione e un’altra, è la nostra immagine del paesaggio del corpo quando questo non è agitato da emozioni. Quando i sentimenti di fondo rimangono dello stesso tipo per ore e giorni e non cambiano nel flusso e riflusso dei contenuti del pensiero allora contribuiscono al formarsi di un umore: buono, cattivo, indifferente. Senza i sentimenti di fondo il nucleo stesso della rappresentazione di se’ sarebbe infranto (B.Van der Kolk, 2015).

Terzo passo: costruire un genogramma familiare di quella emozione, quindi chiedere alla persona di metterla in relazione con altre emozioni creando un sistema emotivo. Bertrando, nel suo libro del 2014, ci insegna che anche nella clinica sistemica, negli ultimi anni, si è iniziato a parlare di emozioni come di un sistema emotivo: ogni momento in cui sono insieme a (almeno) un’altra persona, si crea un sistema di relazioni, che ha anche caratteristiche emotive. Di più: anche quando sono solo con me stesso, vivo comunque in relazione con pensieri, fantasie, aspettative, che mi connettono ad altre persone e che hanno connotazioni emotive. Posso quindi dire che ogni sistema umano è (anche) un sistema emotivo. 

Non possiamo però dare per scontata la connessione tra sistema emotivo, comunicazione verbale e non verbale, in quanto il mostrare delle emozioni non è la stessa cosa che sentirle, in generale, io vivo in un flusso di avvenimenti, sono immerso in quel che faccio, non sempre sto attento a quel che sento, le emozioni sono modi di coordinarmi con gli altri, automatici e incoscienti, se poi ne ho conoscenza, e possibilmente le comprendo, non sarò ,come avrebbe forse detto Aristotele posseduto dalle passioni (P. Bertrando 2014).

Come si legheranno queste emozioni fra loro nel FA.G.E, che nessi , relazioni, connessioni creeranno non è dato saperlo a priori a noi e molto spesso nemmeno alla paziente, che scopre     mano a mano scrivendolo come in lei si connettono le emozioni. Tomkins a questo proposito nel 1979 affermava che le emozioni si combinano sempre fra loro: non esiste alcun legame necessario tra un’emozione e un’altra, ogni emozione può evocarne ogni altra secondo la personalità degli attori, la loro storia, il modo in cui ciascuna emozione è dominante o tacita per ciascuno, e anche secondo le emozioni dominanti o tacite emerse nell’interazione. 

Ed ecco che a questo punto il momento di empasse è superato perché si è attivata in noi la curiosità di voler scoprire e indagare ogni parola che verrà scritta , quale significato specifico ha per la persona , che storia contiene, che legami porta con sé, come mai proprio quei legami ,quelle connessioni fra quelle emozioni: la testa inizia a riempirsi di mille domande, la mente del terapeuta si è riattivata uscendo dall'impasse del  pattern ridondante. Proprio come disse Gianfranco Cecchin (1988), la curiosità ci aiuta a continuare a cercare descrizioni e spiegazioni diverse anche quando non siamo in grado di immaginarne altre.

Quarto passo: abbiamo già sentito la potenza di questo strumento su di noi terapeute nel riuscire a riattivare la nostra curiosità e a metterci in una nuova posizione, ma la paziente ? Sarà utile per lei? Come terapeuti siamo chiamati ad assumere una posizione che faciliti nel creare pratiche che aiutino noi terapeuti e i pazienti a sperimentare novità sia in termini di nuove idee che di nuovi comportamenti. Lo scopo dell'incontro terapeutico non è quello di cambiare la persona o il suo comportamento ma quello di costruire insieme possibilità concrete di assumere novità che si affianchino al noto, che comunichino tra loro e si modifichino.

Come la curiosità, l'altravisione (A.Caruso, 2015) ci aiuta a cercare differenti spiegazioni e descrizioni quando non sembrano possibili”, “con l'altravisione si creano azioni che offrono la possibilità al terapeuta e al paziente di mettersi in un’altra posizione rispetto al tempo,ai ruoli, alla cultura, alle credenze, alle emozioni e ai sintomi. Come la curiosità, l'altravisione ci aiuta a cercare differenti spiegazioni e descrizioni quando non sembrano possibili. Dunque come operatori della relazione professionale siamo chiamati ad assumere una posizione che faciliti nel discriminare, favorire, creare pratiche che aiutino noi e i nostri clienti a sperimentare la "novità", sia come posizione semantica (nuove idee), sia come posizione organizzativa (nuovi comportamenti). 

 

POTREBBE ESSERE LO STRUMENTO GIUSTO

Decidiamo di utilizzare lo strumento in seduta, quindi come proporlo alla paziente? Come spiegare, quali consegne dare ?

T: “Oggi abbiamo pensato di lavorare con un nuovo strumento. Per poter iniziare vorrei chiederle del suo stato d’animo di cui spesso narra in seduta, che ha portato anche qui oggi nei primi istanti della seduta…lei quando ne parla con se stessa o lo racconta ad altre persone come lo chiama?”

A: “Apatia”

T: “Le propongo ora di andare a costruire un genogramma, un albero familiare, di Apatia . Utilizzeremo la lavagna, ha voglia di scrivere lei ?”

A: “Si, lo faccio io”

T: “Ok, li trova dei pennarelli, scelga quello del colore che preferisce e le chiedo di scrivere al centro del foglio: Apatia”

T: “So che questa domanda potrà sembrarle un pò strana: questa emozione la sente maschio o femmina ?”

A: “Ma in che senso? Devo darle un genere?”

T: “Provi a pensare all’emozione quando la sente e di getto ascoltare se la sente maschio o femmina. La sento maschio o la sento femmina questa emozione ?”

A: “Femmina…femmina…sono io”

T: “Apatia nasce da due genitori, il nostro genogramma può contenere qualsiasi genere di famiglia, due genitori dello stesso sesso, un genitore solo, più di due genitori ….si senta libera di scrivere tutte le emozioni che sente essere genitori che generano Apatia. Da quali  emozioni sente che è generata Apatia?” 

A: “Posso usare anche termini che non sono strettamente emozioni ?”

T : “Certo”

A: “Allora…. Certamente ….Paura”

T: “Le chiedo sempre se Paura la sente maschio o femmina”

A: “Femmina. Poi…l’altro genitore… non so come definirlo…un pò un senso di vuoto, scrivo Vuoto…e questo è maschio”

T: “Paura e Vuoto generano solo Apatia? Apatia ha fratelli o sorelle?”

A: “No, no”

T: “Apatia è sposata con qualcuno?”

A: “Sì ma non so cosa scrivere, non so bene che cos’è”

T: “Se vuole può scrivere un punto di domanda. Apatia sposata con il punto di domanda genera qualcosa ? Hanno dei figli? E saprebbe mettere delle date di nascita magari?”

A: “Eh non lo so…so che Apatia genera Ansia che è femmina con punto di domanda nel 

Figura 1: SEQ Figura \* ARABIC1: primo FA.G.E.
Figura 1: SEQ Figura \* ARABIC1: primo FA.G.E.

  1. Da sola poi genera Tristezza che è femmina, Delusione è maschio e Solitudine che è anche lui maschio. Ansia da sola genera Paura, maschio, e Paura da solo genera Blocco che è femmina. Basta credo ci sia tutto”

Una volta che la paziente ha completato graficamente il suo FA.G.E. la terapeuta che fino a quel momento ha svolto un ruolo di facilitatore dello strumento , non intervenendo mai nella costruzione, senza suggerire emozioni, senza fare domande in merito a quanto viene prodotto, ma limitandosi a facilitare la paziente nella costruzione nel caso in cui ne avesse bisogno o attendendo in silenzio la costruzione autonoma da parte di essa del FA.G.E., riprende un ruolo attivo e passa alla fase dell’intervista dove attinge a tutta la sua curiosità per cercare di generare altravisione in sé e nella paziente.

 T: “Sente che va bene così? Che è completo?”

A: “Si questo è quello che sento sempre e spesso. Forse mi viene in mente ora è la parte che non so gestire, forse perché è recente, si sono sposate nel 2023”

T: “Se vuole può tornare a sedersi, rivolta verso la lavagna e le chiedo di guardare ora il suo lavoro . Che effetto le fa guardarlo ora da qui?”

A: “Che è tutto negativo! Senza via d’uscita, che sono bloccata, non c’è niente di bello”

T: “Ha scritto 2023, come mai? Cosa rappresenta ?”

A: “E’ che adesso ragionandoci capisco che c’è qualcosa di nuovo in questo ultimo anno circa”

T: “Nel senso che punto di domanda, Ansia , Blocco sono nuovi?”

Il compito più difficile nella fase di intervista per il terapeuta che utilizza il FA.G.E. è riuscire a restare curioso secondo la linea guida della curiosità di Cecchin riguardo al solo contenuto dello strumento. Nel porre domande si aprono mille strade che il terapeuta può seguire, si riconnettono nella mente del terapeuta fatti, nozioni, informazioni che già possiede da sedute precedenti effettuate con il paziente. Mano a mano che procede con l’intervista le ipotesi sistemiche del terapeuta sul paziente, sul suo sistema relazionale e significativo iniziano ad attivarsi, a connettersi, a generare nuova curiosità. Questo se da una parte è un bene in quanto trascina fuori dall'impasse, la mente del terapeuta si riattiva, riparte, ritorna ad essere curioso del suo paziente, della sua storia, del suo sistema; dall’altra diventa un ostacolo, a volte difficile da contenere per chi vuole utilizzare a pieno la potenza dello strumento che non si ferma solo a rompere un momento di empasse ma se utilizzato correttamente fino in fondo alla seduta può generare in diretta al paziente stesso delle altrevisioni, dei nuovi posizionamenti verso se stessi e verso la propria storia. Diventa quindi fondamentale non cedere alla tentazione di intervenire come in una “seduta normale”, di non proporre ipotesi, non allargare sulla storia del paziente, su ciò che ci sta offrendo di nuovo, è fondamentale che il terapeuta rimanga sempre sul qui ed ora della seduta, sullo strumento, sul parlare di ciò che emerge e sta emergendo con lo strumento. Il paziente con le sue risposte offre mille possibilità di aggancio ma il terapeuta per questa “strana seduta” deve riuscire a lasciarli scivolare, si possono sempre riprendere se fondamentali, in sedute successive. Ma non ora, ora occorre essere curiosi di ogni particolare di quanto scritto dal paziente nel suo FA. G.E. con una curiosità minuziosa, andare a indagare ogni particolare che si nota, ogni ridondanza e ogni differenza, ogni legame. Questo perché anche se ad alcuni terapeuti sembra di “non fare nulla” limitandosi a fare semplici domande di curiosità, in realtà stanno lavorando sull’autoriflessività del paziente, lo stanno portando a porsi domande che forse  mai si era posto o nessuno gli aveva posto prima, e se anche fosse accaduto in passato, ora nessuno gliele sta ponendo di nuovo e nel farlo gli si offre la possibilità di fermarsi, ascoltarsi e capire se ha già risposto alle stesse domande in passato, se oggi da o darebbe la stessa risposta oppure no, se le cose sono cambiate, i nessi, le connessioni che fa ora sono differenti.

A: "Sì, prima non avevo Ansia”

T: “Quindi prima del 2023 c’era solo Apatia che genera Tristezza , Solitudine e Delusione?”

A: "Sì sento che ora si stanno smuovendo delle cose, sento che c’è anche Eccitazione”

T: “Vuole aggiungerla?”

A: “Si la scrivo qui come altro figlio di Ansia e punto di domanda”

T: “Eccitazione genera qualcosa?”

A: “Eh genera questa qui, Paura”

T: “Genera quella Paura lì che ha scritto o una Paura diversa?”

A: “E’ che Eccitazione mi genera voglia di fare delle cose ma poi mi viene Paura e allora non le faccio e mi blocco. Ecco ho capito ora parlando chi è il punto di domanda! E’ il mio chiedermi: lo faccio o non lo faccio? Posso scrivere Fare al posto del punto di domanda e lo metterei maschio”

T: “Quindi scritto così diventa che Apatia unita a Fare genera Eccitazione e Ansia. Ansia a sua volta genera Paura che a sua volta genera Blocco. Lo sente corretto cosi’?”

A: “Sì”

T: “Ora sente che è completo?”

A: “Sì”

T: “Ha voglia di raccontarmi, di spiegarmi il suo lavoro, le varie emozioni?”

A: “Sì, da dove parto?”

T: “Scelga lei da dove preferisce”

A: “Il circolo Apatia che da sola genera Tristezza, Solitudine e Delusione, è storico, la conosco da sempre, so come funziona, so da dove arriva e che sono io un pò così: è ciclico e a volte torna e lo so riconoscere e so a cosa è dovuto. Non mi preoccupa, mentre quello che a me preoccupa e fa star male è il circolo Apatia che si unisce a Fare e quello che generano dal 2023”

T: “Per questo è giunta ora in terapia e non prima ?”

A: “Si e ora che ne parliamo mi rendo conto che adesso io ricevo richieste sul fare mentre una volta molto meno, non c’erano e quindi questa parte non esisteva, invece ora un pò il marito, un pò il figlio, un pò il lavoro…le richieste sono maggiori …” 

Ad alcuni terapeuti che hanno fretta di arrivare al dunque potrebbe sembrare uno strumento noioso, lungo: il terapeuta che lo utilizza è chiamato a stare da parte in questa seduta, non andare a inventarsi chissà che domande o mirabilie, viene richiesto “solo” di essere curiosi, di non dare nulla per scontato anche se si condivide la stessa cultura e lingua parlata del paziente, non dare per scontato che se il paziente dice “gioia” noi sappiamo esattamente cosa intende per “gioia” ma mettersi nella posizione dell’alieno che non sa cosa voglia dire “gioia” e lo domanda candidamente con vera curiosità. Noi non conosciamo il mondo interno di emozioni e significati dell’altro, possiamo solo chiedere e farcelo raccontare: anche se usiamo entrambi gli stessi termini che sul dizionario riportano la stessa definizione potremmo indicare due cose differenti .

T: “Ha messo due Paura, una femmina e una maschio”

A: “Sì, sì, questa che arriva da Apatia con Fare è maschio perché la vedo più difficile per me, la sento più forte. Paura madre di Apatia è femmina perché è una paura più continua di sottofondo, mentre questo Paura quando viene fuori è più forte, mi blocca di più, mi frena di più ed è una paura  nuova non è questa qua solita”

T: “Lei dice che quella parte lì c'è sempre stata nella sua vita, da quando parte questo sempre nella sua vita? Quando ha inizio ?”

A: “Eh.. all’università, un quindicina di anni fa”

T: “Quindi quindici anni fa avrebbe scritto solo quella parte lì. Prima di quindici anni fa l’avrebbe messa ?”

A: “No, non credo. Non sapevo che università fare, poi l’ho cambiata, mi sono fatta trascinare …anche con le amicizie le ho cambiate più volte, non ho mai trovato qualcuno di significativo…quindi sì ho fatto delle cose ma sentivo che volevo fare altro ma è come se mi fossi trattenuta e quindi stavo sulla sufficienza, non avevo voglia di fare grandi cose, andava via liscia così"

T: “Ansia ed Eccitazione le ha messe femmina, come mai?”

A: “Loro le vedo legate a delle figure femminili, Ansia a mia sorella che è sempre in ansia ma a differenza mia non la blocca ma la porta a fare moltissimo e mi dice vai, fai: lei è sempre in movimento e io più mi dice così più mi blocco”

T: “Che cos’è Blocco ?”

A: “Che mi fermo, non faccio le cose , mi tiro indietro”

T: “Blocco genera qualcosa o no, finisce li?”

A: “Ma… a pensarci… sì , genera sensi di colpa in me e poi che gli altri dopo un po si stufano  di me”

T: “Noto che abbiamo parlato finora delle emozioni che ha messo come femmine, e di quelle che ha messo maschi ? Cosa mi dice?”

A: “Fare è maschio perché è connesso al lavoro che è un ambiente maschile e a mio marito che è maschio e ricevo richieste di fare e di responsabilità soprattutto da maschi. Vuoto, Solitudine e Delusione sono maschi perché si generano in relazioni con il maschile, con amici maschi, con mio marito. Quelle femminili le collego più al femminile della mia famiglia di origine mentre quelle maschili si generano con i maschi extra familiari”

T: “Apatia per lei cosa vuol dire ?”

A: “Non provare mai emozioni, sicuramente non positive”

T: “Qual è la cosa che la disturba di più di Apatia?”

A: “Non sentire cose positive”

T: “ Mentre le cose brutte le sente?”

A: “Sì! E generano il non fare”.

T: “Non fare è lo stesso non fare di Blocco?”

A: “No. Non fare di Apatia da sola è legato a me e va bene, chi mi è vicino mi conosce, sa che funziono così e la può accettare e so che dopo un po’ passa, non è sempre così. Mentre non fare di Apatia unita a Fare è legato all’esterno, agli altri che mi fanno richieste, mi danno responsabilità e si vede, ora è chiaro per come è scritto, anche a me: si innesca tutto quel processo di figli che porta al senso di colpa . Sì è così!”

T: “E se dovessimo far parlare quel senso di colpa, cosa direbbe?”

A: “Ma cavoli, ma potresti provare a farlo, non c’è da avere così paura! Si , si ….in effetti in questo circolo è Paura che è troppo forte, dovrei riuscire ad abbassarla un pò”

T: “Chi si potrebbe unire a senso di colpa per aiutarla ad abbassare Paura?”

A: “Successo. Dovrebbe arrivare il sentire che ho fatto delle cose positive ma non per gli altri, ma per me stessa , sì successo per me stessa. Se Successo si unisse a sensi di colpa da lì si genererebbe Fare”

T: “Lei ha altro da aggiungere? Ci sono cose che non le ho chiesto?”

A: “Sto pensando a Successo. Lo posso aggiungere? Anche se ancora non esiste, lo posso aggiungere qua vicino a sensi di colpa?”

T: “Sì”.

A: “E la metto femmina perché sarebbe il mio successo e dall'unione con sensi di colpa si genererebbe Fare e lo metto maschio perché è il Fare maschio”

Figura 2: secondo FA.G.E.
Figura 2: secondo FA.G.E.

T: “Guardando ora il suo lavoro, come le sembra?”

A: “Un pò meglio! Un po’ più positivo. Potrei aver trovato come fare, forse dovrei far apparire Successo dentro di me. Solo che mi sento ancora molto lontana oggi”

T: “Ha delle idee su come far apparire Successo?”

A: “No”

T: “Le è mai capitato nella vita di sentire Successo?”

A: “Sì, dovrei trovare il modo di riprovare quel successo per me stessa, seguendo me stessa”

L’intervista si conclude quando il terapeuta ha dato fondo a tutta la sua curiosità possibile, quando sente di aver indagato ogni minimo dettaglio, aver guardato in ogni angolino del FA.G.E del paziente. A volte capita che durante l’intervista, come in questo caso, sia la persona stessa a trovare “la soluzione”, altre volte i pazienti stessi si danno dei compiti da soli proponendo a loro stessi di provare a fare delle cose da lì alla seduta successiva, altre volte accadono eventi più emotivi, emergono vissuti o si generano forti emotività, altre volte non accade proprio nulla: si ha la sensazione che il paziente abbia lavorato in seduta ma che tutto quel lavoro sia ancora li che gira, che frulla nella testa della persona. Vada come vada la seduta va sempre conclusa, come ci insegnano i nostri maestri o con una restituzione che rimanga su quanto accaduto in seduta oppure con un compito sempre inerente a quanto emerso nel qui ed ora della seduta.

 

LE FASI DEL FA.G.E., SETTING E AVVERTENZE NELLA SOMMINISTRAZIONE

Lo strumento del  FA.G.E. si sviluppa in tre fasi:

  1. Costruzione: occorre selezionare un'emozione da cui partire seguendo un'ipotesi sistemica (l'emozione potrebbe essere quella che porta costantemente un paziente, quella che è forte per il paziente in questo momento o l'emozione che ha attivato per esempio un compito); ci sarà poi la costruzione grafica del genogramma dell' emozione (genitori, nonni, eventuali partner, figli, le relazioni fra loro, matrimoni, lutti, separazioni …) mettendo almeno tre generazioni e poi assegnare un genere e un nome all'emozione in base all'esperienza che il paziente ha di questa. 
  2. Intervista: il terapeuta aiuta attraverso domande a riempire i vuoti, a fare connessioni tra le emozioni, a ricostruire le storie di queste emozioni e il valore che viene dato a ciascuna di esse. Non va ad interpretare il lavoro del paziente in base ai propri vissuti e deve stare attento a mettere in discussione le proprie idee perfette, a non innamorarsi della propria ipotesi tenendo a mente i propri pregiudizi. Nel porre le domande si seguono le sei linee guida della conduzione di un colloquio sistemico: ipotizzazione, circolarità, neutralità, curiosità, strategizing e altravisione. Il terapeuta segue il pensiero di elaborazione del paziente, riconnettendo le riflessioni del paziente nel presente senza lasciarsi trascinare dalla sua storia passata e usa le possibili informazioni che emergono sul passato per indagare come queste  intervengano nel sistema emotivo di oggi.
  3. Restituzione: il terapeuta può fornire una restituzione verbale su quello che è avvenuto in seduta o può somministrare un compito connesso a quanto accaduto: la scelta dipende in primo luogo da come si è modificata l'ipotesi che il terapeuta ha riguardo al caso e in secondo luogo dallo stile del terapeuta, dal clima e dall’alleanza che il terapeuta sente in quel momento.

Lo strumento può essere utilizzato in setting individuali, di coppia e familiari. Può essere utilizzato con bambini (con opportune modifiche) e con persone di ogni età e cultura, estrazione sociale. Non è necessario che la persona sia esperta di emozioni per utilizzarlo, nasce proprio per riuscire a lavorare con persone con difficile accesso alle emozioni e /o alla loro verbalizzazione e non richiede grandi capacità grafiche né verbali. Può essere utilizzato con qualsiasi disturbo e patologia, è stato applicato anche con pazienti schizofrenici compensati farmacologicamente. 

Per quanto riguarda le avvertenze possiamo sottolineare come ogni professionista che scelga di utilizzare questo strumento deve essere consapevole che potrebbero presentarsi delle controindicazioni o delle difficoltà da affrontare. È uno strumento da utilizzare solo dietro prescrizione di ipotesi: affinché l’uso dello strumento risulti utile è necessaria un ’ipotesi sistemica che spieghi perché può aver senso usarlo in quel determinato momento della terapia e con quel determinato sistema in terapia. Questa ipotesi deve essere in grado di descrivere il sistema pazienti, il sistema terapeuta, il sistema paziente-terapeuta e i sistemi e i contesti più allargati. Non bisogna nemmeno dimenticare l'assunzione contemporanea tra sistema emotivo e sistema culturale: il paziente, la famiglia, la coppia che ho davanti non è mai quella persona, quella famiglia, quella coppia così com’è nell ’interazione con me terapeuta. Devo capire qual è il mio contributo nel far emergere proprio quelle emozioni e non altre: ogni emozione che mi sembra di scoprire in terapia è necessariamente una mia ipotesi e in quanto tale provvisoria  (Bertrando, Toffanetti, 2003). Inoltre dobbiamo anche ricordarci il fattore culturale: le culture non sono fisse immutabili negli anni, ma cambiano ed evolvono. È fondamentale quindi lo studio delle parole chiave emotive e del loro cambiare all’interno delle diverse culture: le emozioni descritte con parole diverse acquisiscono aloni semantici diversi, come se fossero forme di vita distinte (Geertz, 2000).

Per maggiori specifiche in merito rimandiamo alla lettura del libro: Citterio, N., Iori, V. (2020). FA.G.E. Family Genogram of Emotions - Un nuovo strumento per lavorare con le emozioni in terapia. Milano: Mimesis.

 

CONCLUSIONE: ALCUNI EFFETTI SUI PAZIENTI

Per i terapeuti “curiosi fino in fondo” riportiamo alcuni feedback dei nostri pazienti dopo aver utilizzato questo strumento in terapia con loro:

-"Non pensavo di riuscire a scrivere così tante emozioni, sono molto sorpreso! Rabbia, controllo e giustificazione ora per me hanno più senso e riesco a distinguerle, prima era tutto nervosismo a cui non riuscivo a dare un nome e un senso".

-"È vero ho paura, sto invecchiando, sono io ora che ho bisogno degli altri. Mi guardo in giro e sono sola, questo mi genera ansia…lo sto dicendo per la prima volta a lei e sento un gran mal di stomaco".

-"Quelle cose che ho scritto lì nessuno me le ha mai chieste. Forse ora posso iniziare a pensare ai miei desideri e progetti".

-"Mi sono sorpresa di aver messo dei sintomi fisici e di averli connessi in modo che ora hanno un senso per me".

-"Ci siamo stupiti nel vedere il legame creato da nostro figlio tra paura e rabbia, pensavamo che la rabbia fosse solo una manifestazione adolescenziale senza vedere che potesse nascondere una paura".

-"La mia tristezza in realtà è l'unica emozione che produce altro ,non è così negativa…forse può generare altro..sì in effetti ora che lo guardo scritto vedo che permette di arrivare al coraggio passando dalla rabbia. Forse emozioni che ho sempre visto solo come negative sono invece utili per arrivare all’azione".

-"Forse dovrei essere più coraggiosa e fare domande a mamma e papà, essere meno preoccupata per loro".

-"In questo momento forse posso tirare fuori tutta la mia ansia, tutte queste emozioni ora possono emergere, non devo più soffocarle".

-"È tutto così chiaro e semplice…sento che si sta muovendo la giovane Anna che era forte , coraggiosa, che ha lottato . Non voglio più rinunciare a ciò che sono".

 

BIBLIOGRAFIA

Bateson, G. (1976). Verso un' ecologia della mente. Milano: Adelphi.

Bertrando, P. (2014). Il terapeuta e le emozioni. Un modello sistemico-dialogico. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Bertrando, P., Toffanetti, D. (2000). Storia della terapia familiare. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Boscolo, L., Bertrando, P. (1996). Terapia sistemica individuale. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Caruso, A. (2002). Altravisione: una posizione nella conversazione terapeutica fra teoria sistemica e teoria socio-costruzionista. In Connessioni, n.11. Milano: Centro Milanese di Terapia della Famiglia.

Cecchin, G. (1988). Revisione dei concetti di ipotizzazione, circolarità, neutralità: un invito alla curiosità". In Ecologia della Mente.

Cecchin, G., Apolloni, T. (2003). Idee perfette. Roma: Franco Angeli.

Cecchin G., Lane G., Ray, W.A. (1997). Verità e pregiudizi. Un approccio sistemico alla psicoterapia. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Citterio, N., Iori, V. (2020). FA.G.E. Family Genogram of Emotions - Un nuovo strumento per lavorare con le emozioni in terapia. Milano: Mimesis.

Damasio, A.R. (1995). L'errore di Cartesio. Milano: Adelphi.

Damasio, A.R. (2000). Emozione e coscienza. Milano: Adelphi.

De Silva, D. (2011). Sono contrario alle emozioni. Torino: Einaudi.

Geertz, C. (2000). Available Light: anthropological reflections on philosophical topics. New Jersey: Princeton University Press.

Tomkins, S. (1979). Script Theory: Differential Magnification of Affects. Lincoln, NE: University of Nebraska Press

Van der Kolk, B. (2015). Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo, cervello nella elaborazione delle memorie traumatiche. Milano: Raffaello Cortina Editore.

 

[1]  Psicoterapeuta e didatta della Scuola ad Orientamento Sistemico e Socio-Costruzionista

[2] Psicoterapeuta e didatta della Scuola ad Orientamento Sistemico e Socio-Costruzionista

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